martedì 24 maggio 2011

Di Vaio e gli altri 7 rossoblù hanno ancora il permesso invalidi

Da aprile, quando è scoppiato il caso, non risulta nessuna targa scollegata dai cinque pass coinvolti nell'indagine

Hanno ancora la targa delle loro auto legata a permessi handicap gli otto giocatori del Bologna di cui si occupa l’inchiesta della Procura e che ieri ha portato all’avviso di garanzia al capitano e cannoniere della squadra Marco Di Vaio per falso o truffa ai danni del Comune (per la vicenda delle multe annullate). Da aprile - quando è scoppiato il caso - ad oggi, nessuna targa risulta essere stata scollegata dai cinque pass per disabili coinvolti nell'indagine. Dunque nè Di Vaio nè gli altri calciatori si sarebbero posti lo scrupolo di rinunciare ad avere la targa dell'auto abbinata a uno di quei pass.
Il capitano è indagato per la vicenda delle 45 multe prese in centro a bordo della sua Porsche e annullate con altrettante richieste controfirmate dalla factotum della squadra rossoblù Marilena Molinari. Di Vaio risiede in centro ma per problemi di cambio d’auto e di ritardi nel rinnovo della residenza aveva preso quelle contravvenzioni. Per farsele togliere - secondo l’accusa - avrebbe dichiarato falsamente che stava accompagnando Molinari, la disabile a cui sono legate molte targhe dei giocatori rossoblù e che è indagata a sua volta per la questione delle multe.
Ma sia Di Vaio che Molinari, sentiti dal Procuratore aggiunto Valter Giovannini, avevano ammesso di non essere mai andati in auto insieme. L’annullamento delle multe, prese tra ottobre e dicembre 2010, è avvenuto a gennaio. Gli incartamenti per l’annullamento vennero portati da un uomo che disse di essere «l’autista», non si sa di chi, però. E 10 giorni prima degli annullamenti la targa della Porsche di Di Vaio è stata di nuovo collegata al permesso handicap della Molinari.
A parte Di Vaio (finito sul registro degli indagati non per la targa legata ai permessi ma per aver dichiarato il falso), per gli altri giocatori non c’è ipotesi di reato. Una sentenza della Cassazione ha chiarito che l’uso improprio dei permessi implica solo una sanzione amministrativa. Peraltro il difensore di Di Vaio, l’avvocato Guido Magnisi, sostiene che anche nel caso del bomber siamo nel campo dell’illecito amministrativo: «Crediamo che sia tutta da dimostrare la consapevolezza in capo a Di Vaio di essere partecipe di un reato, - aveva detto ieri - se di reato si tratta: la condotta, contestata in ipotesi accusatoria come violazione di norme penali, in realtà sembra essere oggetto di una specifica previsione normativa (art.188 Codice della Strada) che riconduce tutti i fatti nell’ambito, al più, di un mero illecito amministrativo. L’eventuale uso improprio dell’autorizzazione (utilizzo indebito di un regolare permesso invalidi altrui), se provato, secondo la giurisprudenza della Cassazione integrerebbe un mero illecito amministrativo non costituente reato».
Ma la Procura ha confermato l’ipotesi di accusa. Giovannini, che è anche portavoce della Procura, rispondendo ai giornalisti si è limitato a dire: «Si confermano le ipotesi di reato riportate nell’informazione di garanzia e, in ogni caso, la Procura come sempre non commenta pubblicamente, sotto il profilo giuridico, il proprio lavoro». Giovannini aveva già firmato sabato gli avvisi di garanzia destinati a Di Vaio e Molinari, ma la notifica è avvenuta solo ieri, a campionato finito.

24 maggio 2011

Edoardo Costa indagato per truffa ai danni dei bambini africani

I fondi erano stati donati a favore dei bambini dei Paesi poveri Edoardo Costa indagato per truffa ai danni dei bambini africani L'ex protagonista di «Vivere» si sarebbe appropriato di circa 570 mila euro versati in beneficenza .
MILANO - Il Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Milano ha notificato l'avviso di conclusione delle indagini preliminari, in vista della richiesta di rinvio a giudizio, nei confronti dell'attore Edoardo Costa, già protagonista della soap opera «Vivere». L'attore è accusato di truffa aggravata, appropriazione indebita, falso ideologico e materiale e uso di atto falso. Secondo il pm di Milano Bruna Albertini, si sarebbe appropriato di circa 570 mila euro versati in beneficenza alla associazione a favore dei bambini dei Paesi poveri da lui fondata, C.I.A.K.. Secondo la ricostruzione dei finanzieri, l'associazione benefica avrebbe destinato realmente allo scopo dichiarato solo una piccola percentuale del denaro raccolto: dei circa 650mila euro raccolti, solo 80mila sarebbero stati destinati all'assistenza dei bambini. Per gli investigatori la cifra raccolta potrebbe anche essere «molto superiore, poiché non è stato possibile quantificare tutto il denaro drenato nel corso dei vari eventi. Questo perché nella maggior parte dei casi la onlus raccoglieva denaro contante, di difficile tracciabilità».
I LIBRI FOTOGRAFICI - Sono stati inoltre sottoposti a sequestro 7.325 libri fotografici, relativi ai progetti benefici promossi dall'associazione, le cui spese di realizzazione sono state pagate utilizzando denaro proveniente dalle oblazioni di aziende o privati cittadini. L'attività investigativa è nata dopo alcuni servizi televisivi di «Striscia la Notizia» e «Italian Job», in cui si avanzavano dubbi sulle somme raccolte in occasione di eventi e serate di beneficenza. L'inchiesta, nata nel 2008 in seguito alle denunce andate in onda in tv, si riproponeva di verificare se le somme raccolte in occasione di eventi e serate di beneficenza, attraverso la C.I.A.K., l'associazione senza scopo di lucro, fondata e presieduta dallo stesso attore, fossero state effettivamente destinate alle attività progettuali pubblicizzate in favore di soggetti bisognosi: in particolare aiutare i bambini dei Paesi più poveri nel mondo, ai quali però secondo investigatori e inquirenti, sarebbe arrivato ben poco di questo denaro. Costa, che ora rischia il processo, è così indagato per truffa aggravata, appropriazione indebita, falso ideologico e materiale e uso di atto falso.
Redazione online
24 maggio 2011

venerdì 22 aprile 2011

Cibo contaminato nei piatti italiani: ecco cosa arriva dai paesi europei

Additivi e conservanti nei crostacei. Istamina, cadmio, mercurio e anisakis (parassita intestinale presente in numerosi mammiferi marini) nel pesce preparato. Echinococco, bluetongue o febbre catarrale maligna, negli ovini e bovini.
Se state pensando ai prodotti di Cina, Vietnam, Egitto o Indonesia siete fuori strada. Questi sono solo alcuni degli elementi risultati presenti, grazie alle analisi chimiche, batteriolochiche, parassitarie e virali, negli alimenti che arrivano in Italia dai Paesi dell’Unione.
Il viaggio-inchiesta di Panorama.it tra gli alimenti tossici e radioattivi che tentano di raggiungere le tavole degli italiani, non si è fermato sulle banchine dei porti tra container di merci in arrivo da Paesi terzi ma è andato a “ispezionare”, assieme agli esperti dell’UVAC (Uffici Veterinari per gli Adempimenti degli obblighi Comunitari) del Ministero della Salute, anche la merce in entrata dai Paesi della Comunità Europea.
Le carni bovine e quelle ovine il pesce, il latte (e i prodotti derivati) ma anche animali vivi: vengono ispezionati “a campione”. Su 1.058.319 partite di merci importate nel 2008 (+1,6 per cento rispetto al 2007) ne sono state controllate 9.926 (0,94 per cento).
E il 37 per cento delle ispezioni sono state effettuate in laboratorio su molluschi, crostacei, squali, latte, formaggi e carni bovine.
Sotto la lente d’ingrandimento del Ministero della Salute ma soprattutto nel “quaderno rosso” dei respingimenti sono finiti gli alimenti importati da Francia, Germania e Spagna.
L’Italia riceve dai Paesi dell’Unione un volume di merci 13 volte superiore a quelle che arrivano dai Paesi terzi. Tra i maggiori fornitori di alimenti proprio la Francia (25,7 per cento sul totale), Germania(20,5), Olanda(10,7) e Spagna(9,3).
L’UVAC, assieme alle Aziende sanitarie Locali delle aree interessate, ha respinto al mittente o distrutto immediatamente l’1,4 per cento delle merci controllate e risultate pericolose (+0,2 rispetto al 2007) per la salute pubblica.
Il maggior numero di riscontri di laboratorio risultati sfavorevoli sono quelli sul pesce preparato trovato positivo al mercurio. I crostacei, invece, sono risultati ricchi di cadmio mentre sugli ovo-caprini è stata segnalata la presenza di echinococco (l’echinococcosi è una malattia che viene trasmessa all’uomo dagli animali attraverso questo parassita che aggredisce il fegato ma anche milza e polmone).
Molto frequenti anche le analisi positive alla salmonella riscontrate nelle carni sia su quelle già confezionate che su quelle non confezionate di pollame, bovini e suini.
Nel nostro territorio entrano mediamente in dodici mesi, e solo dai Paesi dell’Unione, circa 85 mila tonnellate di carne già preparata su di un totale di 935mila tonnellate. Sempre nei laboratori sono stati scoperti anche casi di “febbre da lingua blu” in alcuni capi di bovini di cui l’UVAC ha dato immediatamente disposizioni per l’abbattimento, in base alla normativa comunitarie.
A dire il vero, l’Italia è l’unico Paese dell’Unione che attraverso l’UVAC, uffcio nato dopo l’abolizione dei controlli alle frontiere tra gli Stati membri della Comunità Europea, controlla e analizza le merci di provenienza comunitaria. Una garanzia per il consumatore finale ma anche un monitoraggio a livello statale sulla genuinità delle merci in entrata.
Panorama.it ha visitato l’UVAC di Livorno, al quinto posto dopo Verona, Milano, Parma e Torino per l’arrivo di partite di merci dall’Unione Europea ma al secondo posto in Italia per il maggior numero di controlli effettuati in proprozione. Nel 2008, in Toscana sono arrivati 85.217 carichi dai Paesi Ue presso le 1.561 ditte registrate e riconosciute dall’Uvac.
Di questi carichi ne sono stati ispezionati 1.127, circa l’1,32 per cento del totale e analizzati in laboratorio il 26,18%. E, come al solito, è dai laboratori che spuntano le notizie più inquietanti sugli alimenti e animali: sui 42 carici risultati irregolari, sono stati trovati container di pesce spada spagnolo al mercurio, granciporri ovvero granchi rossi, provenineti dalla Francia “conditi” con metalli pesanti (come cadio e mercurio) e anche un carico di smerigli della penisola Iberica, “insaporito” sempre con il mercurio.
Non è uscito immune dai controlli neppure il kebab: l’uffico livornese ne ha ispezionato un carico proveniente dalla vicina Germania che è risultato positivo alla salmonella.
Ma il Paese dell’Ue con il maggior numero di irregolarità sia sul prodotto che sulle certificazioni sanitarie (che devono accompagnare obbligatoriamente il carico)? A sorpesa, la Francia.

Un petto di pollo tra la biancheria. Quelle tonnellate di cibo proibito che viaggiano in valigia

Gli alimenti pericolosi viaggiano anche in valigia? Sì, eccome.
Le verdure contaminate o le carni tossiche non arrivano sul nostro territorio solamente all’interno dei container che sbarcano nei porti italiani, come ha dimostrato il viaggio di Panorama.it, ma anche negli scali aeroportuali.
Quelle piccole e apparentemente innocue quantità di cibo nascoste tra slip, camicie e calzini, possono essere la causa di epidemie e infezioni sia per gli esseri umani sia per animali. Un esempio? L’influenza aviaria (che alcuni anni fa faceva davvero paura e oggi è “passata di moda”: all’attenzione di media, esperti e opinione pubblica ormai c’è il Virus A).
I prodotti di origine animale, infatti, sono in grado di trasmettere gli agenti patogeni delle malattie infettive degli animali stessi. Per questo motivo è stata vietata con il Regolamento europeo 745/ 2004, l’importazione di carni da tutti quei Paesi che non appartengono all’Unione e disposti dei controlli a campione da parte di Dogana e Ministero della Salute sulle valigie dei passeggeri in arrivo dalle aree considerate a rischio.
Ma i cittadini d’Europa, in barba ai divieti comunitari a tutela della salute pubblica, continuano a trasportare nei loro bagagli qualsiasi tipo di alimento vietato. E l’Italia è il Paese europeo potenzialmente più esposto al rischio di introduzione clandestina di prodotti alimentari pericolosi: nel 2007 su 1.212 punti d’ingresso (porti e aeroporti) in tutta Europa, era al primo posto con 380 ingressi.
Nonostante questo dato apparentemente preoccupante le Dogane più indaffarate a sequestrare e distruggere alimenti tossici non sono quelle italiane ma quelle inglesi, spagnole e tedesche. Nei bagagli dei passeggeri che qui atterrano si trova carne, latte, pesce, uova, formaggi e “specialità” tipiche del Paese di provenienza.
Tra i viaggiatori più indisciplinati quelli d’origine asiatica, nordafricana ed est europea
. Al top della “black list”: Cina, Turchia, Russia, Egitto, Ucraina e Thailandia.
Nel 2005 su 73.400 bagagli sequestrati in tutti gli scali europei, sono state ritrovate e distrutte oltre 144 tonnellate di carne e 66 tonnellate di latte e formaggi considerati pericolosi. Nei dodici mesi successivi, i controlli alle frontiere effettuati dal personale (grazie al fiuto sopraffino delle unità cinofile) su ben 111 mila valigie hanno registrato un incremento considerevole sia sulle carni importate (256 tonnellate) ma soprattutto sul latte (246 tonnellate). Nel 2007, invece, pur essendo sempre molto alto il numero delle merci sequestrate (367 tonnellate) si è verificata una diminuzione nel trasporto clandestino di alimenti.
Panorama.it è andata a vedere che cosa accade nell’aeroporto toscano di Pisa. I numeri non sono certamente quelli imponenti di un grande scalo portuale (Pisa è indubbiamente importante per i collegamenti intercontinentali ma ha dimensioni ridotte) ma considerando le dimensioni medie di un bagaglio, i risultati sono comunque significativi.
Nel 2006 nell’ aeroporto Galileo Galilei, la Dogana con la collaborazione del PIF, gli ispettori del Posto d’Ispezione Frontaliera del Ministero della Salute, hanno sequestrato 136 bagagli e distrutto 7 quintali di alimenti illegali.
Quest’ultimo dato è cresciuto sensibilmente già nel 2007 con 890 chilogrammi di prodotti sequestrati, ed è schizzato al di sopra della tonnellata di merce distrutta tra gennaio e dicembre dello scorso anno.
La provenienza dei viaggiatori “pizzicati” conferma le analisi e i dati riscontrati a livello comunitario: cinesi ed albanesi. Nei loro bagagli sono stati trovati petti di pollo, carne di altri volatili (spesso già in decomposizione per il lungo viaggio) latte, varie tipologie di formaggi e lingue di anatra. Proprio quest’ultime sono tra le specialità cinesi più sequestrate nello scalo pisano. Un fenomeno che si spiega per la vicinanza della comunità cinese di Prato, la più numerosa d’Italia dopo quella di Milano, dove la lingua d’anatra viene affumicata e utilizzata per realizzare piatti tipici della Regione cinese del Fujian.
“Non si devono sottovalutare i pericoli che possono derivare dall’importazione illegale di alimenti infetti anche se si tratta di piccole quantità di cibo” spiega Grazia Tasselli, dirigente del Posto Ispezione Frontaliera di Livorno e Pisa. “La carne e il latte non controllati e quindi non autorizzati all’ingresso sui territori comunitari possono veicolare malattie pericolose sia per gli uomini che per gli animali. Per questo motivo, nonostante si siano spenti ormai da molti mesi i riflettori mediatici sull’influenza aviaria, i controlli alle frontiere per evitare il propagarsi del virus sono ancora attivi“.
Quindi, nessun souvenir culinario è ammesso dalle Dogane aeroportuali? No, qualche alimento può essere portato in valigia. La rigidissima normativa europea lascia spazio a poche eccezioni, consentendo il trasporto di piccole quantità di cibo per uso personale solo da nove Paesi: Andorra, Svizzera, San Marino, Croazia, Groenlandia, Islanda , Norvegia, Isole Faeroer e Liechtenstien.
Per le restanti regioni mondiali, vale una regola “non scritta”: le prelibatezze locali vanno consumate sul posto. Anche perché, secondo molti, si gustano di più…
(Fine terza puntata, qui la prima e qui la seconda)

Non aprite quei container. Pieni di tartufi: Made in China e radioattivi

Dopo due giorni trascorsi sulle banchine del porto di Livorno, tra un container di carne suina della Cina in decomposizione, pesci e molluschi tossici arrivati dal Vietnam e una montagna di totani al cadmio spediti dall’Indonesia, non è poi così difficile credere a quegli addetti ai lavori che dichiarano di essere diventati vegetariani. Niente più carne, niente più pesce. Se, ed è vero, il 75 per cento dei controlli risultati sfavorevoli alle scrupolose analisi che gli uffici del Ministero della Salute effettuano quotidianamente sulle partite di alimenti che arrivano in Italia da Paesi terzi, rilevano contaminazioni da metalli pesanti: cadmio, mercurio e piombo.
Purtroppo, dal viaggio di Panorama.it tra i container che approdano a Livorno, non giungono notizie rassicuranti neppure sulle spedizioni di vegetali. Anzi.
Tra patate putrefatte arrivate dal Ghana e maggiorana con salmonella proveniente dall’Egitto, ecco spuntare un container carico di tartufi neri radioattivi: sedici tonnellate.
Una “bomba” dal valore commerciale di oltre 7,2 milioni di euro. Tanto avrebbero fruttato i tuberi sul mercato, se gli ispettori dell’USMAF non li avessero fermati prima, nell’area doganale, e rispediti nel Paese d’origine: la Cina.
Altrimenti, quelle prelibatezze radioattive sarebbero sicuramente finite sulle tavole degli italiani.
Il tartufo nero scorzone sul mercato italiano viene acquistato per 250/300 euro al chilogrammo ma in alcuni casi può arrivare persino a 500 euro. Niente a che vedere con i prezzi di quello “bianco” (ancor più ricercato), il cui valore al Kg raggiunge senza problemi i 2.500 euro. E quello Made in China quanto costa ? Non più di 20/ 25 euro al chilo.
Fosse “andata in porto” l’operazione, chi fosse riuscito a commercializzare i tuberi, avrebbe speso circa 400 mila euro, a fronte di un guadagno finale di 6,8 milioni di euro. Intossicazione compresa.
Ulteriore prova che il lavoro degli uffici PIF e USMAF del Ministero della Salute sulle banchine dei porti italinai è fondamentale perché non arrivino sulle nostre tavole cibi contaminati o radioattivi: è il primo e importantissimo filtro sui prodotti provenienti dalle  zone extra Ue.
Cristiano Savini, titolare dell’omonima ditta specilizzata nella raccolta diretta dei tartufi nelle Colline Samminiatesi (San Miniato, in quel di Pisa, è per antonomasia la Città del Tartufo bianco) denuncia:  “In questo settore occorrono controlli più severi, considerando i costi del tartufo, per garantire al consumatore un prodotto sano e autentico”.
E poi rincara la dose: “Tocca all’Associazione tartufai italiani chiedere oltre a controlli più severi sulle aziende che trattano il prodotto,  anche un disciplinare a livello europeo a tutela del tartufo nero e bianco”.
E invece, chiosa amareggiato Savini, (che nel 2007 trovò il “tartufo bianco del secolo”, il più grande degli ultimi cinquanta anni, un chilo e 497 grammi): “I tartufi cinesi continuano ad  arrivare in Italia a prezzi stracciati attraverso la Germania“. Mettendo così a rischio la raccolta dell’area delle Colline Samminiatesi (che comprendono anche parte delle province di Firenze e Siena), dalle quali proviene il 30 per cento dell’intera produzione di tartufi italiani.
Ma se non tutti “consumano” tartufo,  quasi tutti portano in tavola pesche, fragole, asparagi e pistacchi.  E anche per questi prodotti, il rigoroso controllo dell’Usmaf impedisce che nei nostri piatti ne arrivino non solo di contaminati ma anche tutti quelli che, all’importazione, giungono privi della documentazione sanitaria idonea.
Insomma,  la frutta potrebbe essere anche buona ma in Italia non entra e viene puntualmente rispedita nei Paesi d’origine.
Ancor più timori, ed è comprensibile, provoca: “La merce non dichiarata, che quindi non è sottoposta a nessun controllo, che entra clandestinamente sul nostro territorio fino a raggiungere le nostre tavole” specificano i responsabili PIF e USMAF di Livorno. Che, per questo tipo di controlli, si avvalgono della stretta collaborazione dei carabinieri del Nas, dell’Agenzia delle Dogane e della Guardia di Finanza“.
(Fine seconda puntata, qui la prima)

Livorno: in arrivo bastimenti carichi di molluschi tossici e mandorle concerogene

Curiosare all’interno dei container di alimenti che arrivano e stazionano nei porti italiani non è un lavoro per deboli di stomaco. O per chi darebbe torto al ministro Rotondi sulla pausa pranzo “rito da abolire”. Garantito.
E non solo per il cattivo odore della carne o della verdura che spesso arriva sulle banchine completamente ammuffita, o addirittura marcia, ma soprattutto per  quei prodotti tossici e radioattivi provenienti dai Paesi non appartenenti alla Comunità Europea: molluschi, pistacchi, gamberi, formaggi e persino tartufi.
Panorama.it ha fatto un viaggio all’interno del porto di Livorno assieme agli ispettori del Ministero della Salute, alla ricerca di tutti quegli alimenti pericolosi che ogni giorno tentano di varcare la frontiera per finire nei nostri piatti. O nelle cambuse delle navi da crociera.
I risultati sono sconcertanti sia in termini numerici (tonnellate respinte o sequestrate considerando le dimensioni del porto labronico) sia per le destinazioni ultime dei prodotti pericolosi.
Infatti, in vetta ai sequestri effettuati in questi undici mesi del 2009 dal PIF, Posto d’Ispezione Frontaliera, di Livorno ci sono gli alimenti congelati destinati ai croceristi.
Cozze, vongole, gamberetti, polpi ma soprattutto ostriche
che per il loro vero o presunto potere afrodisiaco, non mancano mai nei banchetti allestiti all’interno dei lussuosi saloni. Peccato, però, che quelle “intercettate” nello scalo toscano arrivassero dalla Cina. Congelati e impanati i molluschi sono stati importati dall’oriente da un’azienda statunitense che rifornisce alcune delle compagnie di navigazione che fanno scalo anche nei porti italiani.
Diciannove le tonnellate di pesce e mitili rispediti al mittente perché considerati dalla rigorosa normativa europea, altamente tossici. Secondo le disposizioni sanitarie europee, questi prodotti, non possono neppure toccare i territori dei Paesi appartenenti e quindi neppure transitarvi.  Ovviamente,  è doveroro precisare che questi controlli sulla merce non vengono effettuati se la compagnia di navigazione decide di effettuare le provviste di bordo in un altro porto non Ue.
Sempre destinato ad arricchire i piatti e le pietanze dei croceristi anche un carico di chiocciole provenienti dall’Indonesia (prive di una qualsiasi certificazione sanitaria), formaggi Usa (idem) e svariati chilogrammi di cosce di rana made in China.
Il PIF è un ufficio periferico del Ministero, sconosciuto alla maggior parte dei cittadini, che effettua quotidianamente controlli veterinari su prodotti di origine animale o su animali vivi provenienti da Paesi terzi e diretti al mercato comunitario oppure verso altri Paesi che non appartengono all’Unione.
Grazie a queste verifiche, sono state bloccate lo scorso marzo, anche 20 tonnellate di surimi scaduto, pietanza di origine giapponese a base di polpa di merluzzo, importato dalla Cina e destinato ai ristoranti italiani che servono pesce crudo. Stop anche per 44,9 tonnellate di polpi e totani (congelati) al cadmio, provenienti dall’India e dall’Argentina.
Secondo gli ispettori del Ministero, PIF e USMAF (Uffici sanità marittima aerea e di Frontiera) il 75 per cento dei controlli risultati sfavorevoli sulle partite di alimenti che arrivano da Paesi terzi hanno rilevato contaminazioni chimiche, in particolare cadmio e piombo, il 20 per cento batteriologiche e il restante contaminazioni fisiche, esempio radiottività.
Ingresso vietato anche alla pelle di pesce e alle gelatine destinate all’industria alimentare per la fabbricazione della cosidetta ‘colla di pesce’ utilizzata sia nei dolci che nelle caramelle: 76,1  le tonnellete provenienti dal Cile e Honduras.
Poi, 24 tonnellate di pesce spada dal Vietnam (cadmio), poco meno di 100 tonnellate di gamberi dall’Ecuador, Malesia Thailandia e India (presenza di nitrofurani, mercurio o sostanze inibenti) e 26 tonnellate di lievito essiccato brasiliano destinato all’alimentazione dei bovini.
Ma non è finita. Ogni mese, solo dal porto di Livorno, vengono rispedite al mittente (perché non superano i controlli dell’Usmaf) migliaia di tonnellate (interi container) di pistacchi provenienti dall’Iran, mandorle sgusciate e pinoli in arrivo dagli States: cancerogeni. Dalle analisi effettuate dagli ispettori ministeriali risulta una presenza, di molto superiore a quella consentita dalla legge, di aflatossina, sostanza pericolosa per la salute. E poi, non sono sostanze chimiche ma i batteri della salmonella a contaminare quintali e quintali di farina di cocco disidratata, asparagi e pomodori pelati. Esame batteriologico non superato neppure per salse piccanti e spezie arrivate dal Perù. E già ritornate oltreoceano.
Insomma, carne, pesce, frutta e condimenti vari: le contaminazioni chimiche o batteriologiche sembrano non risparmiare nessun alimento.
Alla battuta di Panorama.it: “Non ci rimane che bere l’acqua”, il dirigente dell’ufficio livornese dell’Usmaf ci stampa in faccia una fragorosa risata.  E a ragione.
Solo poche settimane fa, i suoi ispettori hanno rispedito negli Usa, 17 tonnellate di acqua:
minerale o gassata, ma con aggiunta di zucchero, altri dolcificanti e aromatizzanti. Bottiglie non destinate alla vendita ma agli assaggi e degustazione  presso gli stand delle fiere e manifestazioni  dedicate al fitness e alla bellezza. Bibite che per fortuna nessuno ha avuto modo di assaggiare perché sprovviste di certificazione sanitaria che ne garantisse la genuinità. Dietrofront.
Ma se lo sguardo varca i confini del porto labronico ecco spuntare altre contaminazioni ancor più preoccupanti segnalate negli altri scali italiani, tali da trasformare lo stupore in sconforto. Il 23 aprile scorso, ad esempio, è stato rispedito in Corea un carico di alghe, solitamente servite arrosto con pietanze a base di pesce crudo, contaminate con l’arsenico.
Qualche settimana prima, invece, è toccato ad un carico di crackers arrivati dalla Cina attraverso l’Olanda, tra i cui ingredienti compariva anche la melamina (sostanza che ha causato la morte di molti bambini cinesi). E poi ancora: cereali per la colazione e salmone.
Se con queste segnalazioni si pensava di aver toccato il fondo, ci siamo dovuti ricredere quanto ci siamo trovati di fronte ad un container carico di tartufi… (fine prima puntata)

Staminali: così abbiamo smascherato i ladri di speranza

Ci hanno promesso che si sarebbero presi cura di nostro cugino Andrea, malato di distrofia muscolare e condannato alla sedia a rotelle. Che nostra sorella Ilenia sarebbe guarita dalla depressione. Che zio Claudio, 72enne affetto da Alzheimer, avrebbe ricominciato a spegnere il gas e a chiudere la porta di casa.
Sarebbe bastato portarli in Ucraina, Svizzera, Thailandia o Cina e sottoporli a qualche iniezione di cellule staminali. Prelevate da cordoni ombelicali, midollo osseo di adulti, feti umani o persino da montoni e agnelli. E staccando assegni che oscillano da 7.500 a 36 mila euro. Somme importanti, certo, ma non eccessive per chi, come chi scrive, pagherebbe qualsiasi cifra pur di vedere i suoi cari tornare a camminare, sorridere o pensare lucidamente.
Per fortuna Andrea, Ilenia e zio Claudio non esistono. Esistono, invece, le “cliniche della speranza” che con l’aiuto delle staminali promettono di sconfiggere dall’epilessia alla calvizie, dal Parkinson allo stress, dalla sclerosi multipla all’impotenza sessuale.
Poco importa che i successi di queste cellule, in campo clinico, non siano ancora dimostrati. “Perché intorno a quelle che per ora sono solo ipotesi già prospera un mercato ricchissimo per pazienti disperati” avverte George Daley, presidente dell’International stemcell society, la società internazionale per la ricerca sulle cellule staminali.
Come è accaduto alla Stamina Foundation di Torino, dove Davide Vannoni, professore di psicologia, vendeva per 50 mila euro cure di questo tipo in Italia e all’estero. Oggi è nel mirino del pm torinese Raffaele Guariniello, che ha chiesto l’iscrizione al registro degli indagati per Vannoni e altre otto persone con l’accusa di associazione a delinquere per violazione delle regole sulla sperimentazione clinica.
Panorama ha cercato di capire chi sono e come operano questi mercanti della speranza, restando in contatto con loro per oltre due mesi. Punto di partenza sono state le linee guida elaborate nel 2008 dalla stessa International stemcell society per mettere in guardia i pazienti, e la lista nera stilata a ottobre del 2009 dall’Università statunitense di Stanford. Che ha messo all’indice 31 strutture, dal Brasile alla Russia, passando per Messico e Filippine, accusate di offrire terapie a base di cellule staminali senza supporto scientifico (qui l’elenco).
Punto di arrivo è stata la scoperta di promesse di cura in molti casi vicine al raggiro, in altri più simili a mezze verità, in altri ancora ai limiti dell’inverosimile. È così che i drammi di Andrea, Ilenia e Claudio, con profili clinici fasulli ma confezionati allo scopo da veri medici, sono stati sottoposti a quattro di queste strutture. Tutte hanno promesso che si sarebbero dedicate con cura ai “parenti” sofferenti. Bastava pagare.
HEALTH CENTER CLINIQUE LÉMANA - SVIZZERA
Destinazione Montreux, Svizzera. Con una telecamera nascosta nella borsa, siamo diretti all’Health center clinique Lémana.
Sul sito si magnifica la terapia Cellvital: iniezioni di cellule staminali fetali animali, in grado, dicono, di curare dal calo di energie alla depressione, dall’abbassamento delle difese immunitarie all’artrosi, fino all’impotenza maschile. Dopo i 35 anni la terapia si dimostra anche un ottimo anti age, meglio se ripetuta periodicamente. “È al di fuori di ogni logica scientifica” commenta esterrefatto Giuliano Grazzini, direttore generale del Centro nazionale sangue. “Iniettare cellule di un’altra specie nell’uomo non ha alcuna base scientifica e può comportare il rischio di reazioni immunologiche, di intolleranza da tossicità. È un’ipotesi delirante”.
Via email chiediamo aiuto per la nostra immaginaria sorella Ilenia, 30 anni. Abbandonata dal suo fidanzato dopo dieci anni, è ostaggio di una brutta forma depressiva con tendenze suicide. Dorme solo con massicce dosi di Lexotan. È in cura da uno psichiatra, non migliora. La mano tesa di Lémana arriva in due giorni. Ci viene chiesto di compilare un modulo, dove ancora prima di specificare i dati clinici di Ilenia dobbiamo scegliere il suo “programma di rivitalizzazione“: tre o cinque giorni. L’opuscolo specifica che la terapia è identica, ma la seconda opzione le consentirebbe di smaltire meglio il fuso orario (dall’Italia?) dedicandosi a “scoprire la magnifica riviera valdese”. Per l’alloggio, si va dalla camera singola alla doppia (con o senza vista lago), per finire con la suite. Optiamo per la doppia vista lago, così magari Ilenia si deprime meno.
Ci viene chiesto anche se gradiamo una stanza per fumatori (in una clinica?) e se avremo bisogno di una limousine, ma decliniamo le offerte. Nessun problema per il pagamento: si accettano contanti, bonifici e carte di credito. Con un acconto di 2 mila euro. Giriamo pagina. Un questionario si informa su sintomi fisici e psicologici, vaccinazioni, malattie, eventuali trattamenti cellulari già subiti da Ilenia. Compiliamo e spediamo tutto via email. Il giorno dopo veniamo ricontattati. Al telefono l’unica dottoressa della clinica non parla italiano.
Ma quel che dice in francese basta a rassicurarci: “Non posso garantirvi che Ilenia guarirà completamente, ma parallelamente alle altre cure la terapia cellulare può aiutare a diluire e forse azzerare il trattamento medico“. Ottimo. Fissiamo un appuntamento. “Siamo al Royal Plaza di Montreux, quarto piano”. Proprio così: un hotel. Nella hall, specchi e stucchi. La sede della clinica è la stanza 411. Moquette profumata color cipria, ambiente rilassante. Sulla sinistra un lettino e una lampada per la pulizia del viso.
Sembra più un centro estetico che un’oasi di speranza per depressi cronici. Dopo essersi informata sulle condizioni di Ilenia, la dottoressa arriva al dunque: “Noi iniettiamo cellule provenienti da feti di origine animale, trattate in laboratorio” spiega. “Proteine ricche di oligominerali e vitamine“. Rabbrividiamo e chiediamo quali sono gli animali utilizzati. “Montone e agnello“. Pare siano i meglio compatibili. Superato il ribrezzo iniziale, il resto è facile.
Si tratterà solo di rimanere in clinica, o meglio in hotel, il tempo necessario a ricevere quattro iniezioni intramuscolari di cellule e riposare. Secondo la dottoressa, le nuove cellule riattivano l’organismo, stimolando corpo e spirito. “Ma perché funzioni è importante che la paziente sia ricettiva, desideri il beneficio della terapia”. Insomma, se nostra sorella non si risolleverà sarà perché non era abbastanza convinta. Ci informiamo sui costi. Una telefonata e arriva Laurent: completo blu, voce squillante, apre un volantino con i prezzi. Forfait di tre giorni: 6.550 euro a persona. Se sono cinque, si sale a 7.550.
A parte c’è il soggiorno: la camera doppia vista lago costa 310 euro al giorno. Per la pensione completa bisogna aggiungere 95 euro. Totale: 7.765 euro per tre giorni, 9.575 per cinque. Niente male per un po’ di cellule di montone e agnello in giro per il corpo.
XCELL- GERMANIA
Cambiamo direzione e decidiamo di mettere il naso nell’unica clinica bocciata da Stanford che ha sede in un paese dell’Unione Europea: Xcell, Germania. Il sito italiano di questa clinica (privata) con sedi a Colonia e a Düsseldorf parla di scientificità e serietà. “Dal 2007″ si legge sulla home page “più di 1.600 pazienti affetti dalle patologie più diverse si sono sottoposti alla nostra sicura terapia”.
Peccato che dei risultati non ci sia traccia su alcuna rivista scientifica. Fra le malattie curate compaiono anche quelle neurodegenerative. Ci basta recuperare i dati fasulli di zio Claudio, 72 anni, farlo ammalare di Parkinson e compilare un modulo online per ricevere via email una risposta in meno di 24 ore.
La dottoressa Dominique Hossner nel suo italiano maccheronico spiega che la struttura tedesca adotta “standard clinici e di laboratorio regolamentati dalla legge tedesca in materia di interventi medici”. Precisa che con le staminali adulte autologhe “non c’è rigetto o contaminazione con virus estranei”.
E meno male. Poi ci invita a ricontattarla per una visita gratuita, dopo si deciderà il resto del percorso. Questa volta non richiameremo: abbiamo già capito di essere entrati in un tunnel di superficialità e approssimazione.
Perché basta un’altra rapida ricerca su internet per scoprire che il testo della email è identico a quello spedito negli ultimi due anni a decine di altri potenziali pazienti. Nonostante questo, la vicinanza e i costi di trattamento ridotti rispetto a quelli proposti da altre strutture (da 7.500 a 26.500 euro) hanno reso la Xcell una delle mete preferite dei pazienti europei, italiani compresi.
In agosto, dopo un servizio della tv pubblica tedesca Zdf che segnalava come questi viaggi della speranza si fossero rivelati nella maggior parte dei casi semplici palliativi, la Società tedesca di neurologia aveva preso le distanze dalla Xcell, obbligandola a rimuovere dal sito web informazioni inesatte e chiedendo al ministero della Sanità di vigilare.
“Manca qualsiasi prova sull’efficacia di questo tipo di trapianto e purtroppo per effettuare questi trattamenti non serve alcuna autorizzazione” spiega Reinhard Prior, docente di neurologia all’Università di Düsseldorf ed esperto mondiale di patologie neurodegenerative. In effetti i dettagli della cura per zio Claudio forniti dalla dottoressa Hossner lasciano più di un dubbio: “Si prelevano le staminali dal midollo osseo del paziente”. Una volta trapiantate, “sono in grado di trasformarsi e rigenerare il tessuto danneggiato. Un innovativo trattamento staminale sfrutta il potenziale di autoguarigione dell’organismo”. Sembra miracoloso, ma non lo è. “Le malattie come Alzheimer e Parkinson attaccano il sistema nervoso” ribatte Angelo Vescovi, professore di biologia cellulare all’Università di Milano-Bicocca. “Sostenere che staminali impiantate nel midollo osseo possano arrivare nella sede lesionata e ripararla mi pare fantascienza“. E aggiunge: “In futuro una terapia staminale forse potrà interrompere il processo degenerativo. Però difficilmente sarà possibile ripristinare un tessuto nervoso ormai morto“. A dargli ragione c’è la testimonianza, raccolta da Panorama, di Salvatore T., un italiano affetto da atassia cerebellare, malattia che colpisce il cervelletto rendendo difficili coordinazione motoria, andatura e linguaggio.
A tutt’oggi non esiste una cura. Ma quando lo scorso settembre Salvatore si rivolge alla Xcell, il suo caso viene accettato. “I medici tedeschi sostenevano che il 60 per cento dei pazienti come me fosse migliorato” racconta. “Al termine del trattamento mi dissero che le mie cellule erano migliorate qualitativamente. A quel punto le mie aspettative erano alle stelle”. Quattro mesi dopo, la frustrazione: dalla presunta cura Salvatore non ha ottenuto benefici. E anche se dichiara di avere ancora voglia di lottare, è chiaro come simili botte possano colpire l’equilibrio già fragile di un malato.
BEIKE- SVIZZERA
Torniamo in Svizzera, questa volta a Lugano. Una palazzina di uffici a pochi passi dal casinò ospita la sede europea della Beike, colosso cinese della ricerca medica che dal 2006 offre anche ai pazienti europei terapie a base di cellule staminali presso le sue cliniche di Shenzen in Cina e Bangkok in Thailandia. Per ora i ricercatori di Stanford hanno bollato il lavoro della Beike come “unproven”, non dimostrato.
Eppure, la società in Europa riceve ogni mese 200 richieste di intervento per curare dalla sclerosi laterale amiotrofica (Sla) alla distrofia muscolare, fino a neurodegenerazioni come Alzheimer e Parkinson. Così, per vederci più chiaro, abbiamo aggiunto all’elenco l’Alzheimer di zio Claudio e la distrofia muscolare del cugino Andrea.
A contattarci sono il vicepresidente della Beike Europe Andrea Mazzoleni, testimonial della società, e Gianni Demarin, responsabile della comunicazione. I due lavorano insieme da tre anni. Demarin ha un passato da dj e rappresentante di abbigliamento. Mazzoleni, 56 anni, ha in curriculum iniziative imprenditoriali, una candidatura alla Camera nel 2006 per la circoscrizione Esteri con il Partito italiani nel mondo e un incidente giudiziario: alla fine del 2007 la clinica Gulliver di Lugano, di cui era direttore amministrativo, è stata accusata dalla magistratura elvetica di truffa ai danni delle casse malati per trattamenti in day hospital dai rimborsi gonfiati. Per Mazzoleni, rimasto in carcere 25 giorni, l’inchiesta penale si è conclusa con “non luogo a procedere”.
Ma gli è stata revocata la licenza da infermiere e la Gulliver è stata chiusa. Fissiamo un appuntamento con lui per approfondire le cure per nostro zio. L’ambiente è asettico: in giro nulla fa pensare a siringhe e provette. Il vicepresidente chiarisce subito: “Noi mettiamo solo in contatto i clienti con la struttura. Analisi, screening e operazioni dipendono dai cinesi. E non sapete quanto siano diventati pignoli“. In effetti la Beike sostiene di bocciare il 60 per cento dei candidati alle sue cure. Ma evidentemente zio Claudio rientra fra coloro che possono migliorare: se fosse così, si tratterebbe di un caso unico nella storia medica, visto che i decorsi, per un Alzheimer che galoppa da quattro anni, sono giudicati irreversibili dalla comunità scientifica. “I miracoli non li fanno nemmeno le cellule staminali, altrimenti avremmo già preso 24 premi Nobel” ridacchia Mazzoleni, mentre una segretaria versa panna montata nel suo caffè e lui si accende una sigaretta.
“Quelle che usiamo noi comunque sono assolutamente sicure. Con le nostre cure per settimane le persone sono riuscite a fare una vita normale”. Difficile crederci, se si sentono gli esperti: “Le terapie proposte dalla Beike si basano sull’iniezione di cellule estratte dal sangue dei cordoni ombelicali” spiega Giulio Cossu, professore di istologia alla Statale di Milano e membro del comitato clinico della International society for the stemcell research, che ha elaborato le linee guida della sperimentazione sulle staminali in Europa. “Ma le cellule cordonali non sono in grado di riprodurre neuroni e non possono avere effetti su pazienti afflitti da Parkinson o Alzheimer”.
Da finti profani giriamo lo stesso interrogativo a Mazzoleni. Che corregge parzialmente il tiro: “Abbiamo trattato oltre 6 mila casi di questo tipo. Non abbiamo mai riscontrato peggioramenti né effetti collaterali”. Sì, ma i miglioramenti? “Beh, nel più sfortunato dei casi si mantiene la situazione attuale, ma con il vantaggio di avere più forza fisica, perché le cellule rigenerano l’organismo”. L’elenco dei presunti successi non si ferma qui: “Abbiamo malati di sclerosi multipla che hanno visto sparire le placche e che a tre ore dalla prima iniezione muovevano le braccia. Il miglioramento di base non sarà sicuro ma è quasi scontato”.
Chiediamo allora perché i loro risultati non vengano mai citati positivamente dagli organismi internazionali o da una qualsiasi rivista medica e ci viene risposto che in realtà “ricerche ne abbiamo a quintali, ma tutte in cinese. Lì la legislazione non si pone tanti problemi, né etici né, diciamo, di agenzie che autorizzano”.
E questo secondo lui dovrebbe tranquillizzarci. Sulla sclerosi multipla, addirittura, “abbiamo due o tre casi in cui potremmo parlare di guarigione”. Certo, aggiunge, si trattava di giovani, motivati e “con la giusta disponibilità economica”. Ovvero 32 mila euro. Quelli che chiederà a noi per un soggiorno di 28 giorni, volo escluso, nel B. Care medical center di Bangkok. Ci verrà data una camera con un letto per lo zio e uno “pieghevole” per l’accompagnatore, pasti solo per il paziente (ma, dice la brochure, c’è McDonald’s a due passi), tre bottiglie d’acqua e un asciugamano. Del resto ci invitano a considerare la nostra “non come una classica degenza in ospedale” ma come “un soggiorno a fini curativi in un miniappartamento collegato a un ospedale”.
Il trattamento, sei iniezioni intravenose spinali, sarà effettuato in camera. Poi bisognerà riposare. Nella brochure sono indicate le attrattive turistiche: bazar, teatri, musei. Anche se probabilmente non avremo tempo: “La figura dell’aiuto infermiera in Thailandia non esiste” spiegano, e questo lavoro “ricade sui familiari del paziente”. E poi si spera che qualcuno di noi parli inglese per scambiare due parole con le “poche persone” dello staff ospedaliero che lo parlano. Ma, in caso contrario, tranquilli: la signora Charee Sripaisalmongkol è a disposizione per traduzioni.
Tariffe da stabilire sul posto. Ovviamente le spese saranno difficilmente rimborsabili dalla asl. “Presentate comunque la domanda” consiglia Mazzoleni. “Vi risponderanno di no, ma se fate un ricorso formale noi vi forniamo dei documenti producibili… L’ideale è far fare tutto da un avvocato. Noi ne abbiamo uno a Como, molto bravo”. Il trucco, in questo caso, è avere “un medico amico che scriva che vostro zio potrebbe trarre giovamento da un trattamento con cellule staminali praticabile all’estero”. La verità è che quei benefici arrivano raramente: per scoprirlo basta non accontentarsi delle struggenti testimonianze dei pazienti guariti (spesso anonimi) che la Beike Europe fa girare su siti web e tv satellitari, ma ascoltare le testimonianze di chi è tornato senza alcun miglioramento percepito. I delusi si incontrano su Facebook, lo scorso aprile sono stati alla trasmissione Mi manda Rai3 e in Italia sei di loro hanno presentato denuncia contro la Beike Europe.
Anche a Lugano, secondo quanto risulta a Panorama, la polizia cantonale ha in corso un’indagine, di tipo patrimoniale, sulla struttura. “Abbiamo nemici perché siamo scomodi ” si lamenta al telefono Demarin, quando risponde alla nostra richiesta di cure per Andrea, il cugino 22enne distrofico. Per lui la Beike si spinge a prenotare le date del soggiorno senza neppure avere ricevuto il nostro via libera. “Stiamo buttando all’aria gli interessi di società farmaceutiche che hanno speculato per 30 anni sui finanziamenti per la ricerca” continua Demarin. “Vogliono screditarci perché scombussoliamo interessi notevoli. Al malato invece non pensa nessuno “. Già. La Beike invece ci pensa. In cambio di 32 mila euro.
EMCELL - UCRAINA
L’ultima tappa ci spinge a puntare sull’Europa dell’Est: la clinica Emcell di Kiev, in Ucraina. Qui vendono cure per sclerosi, disfunzioni sessuali e complicanze dovute all’aids. Con staminali di feti abortiti. Fondata una decina di anni fa dal dottor Alexander Smikodub, sulla pagina in italiano del sito web si legge: “A oggi abbiamo effettuato quasi 3 mila trapianti.
Per molte patologie la qualità del nostro trattamento è stata provata come statisticamente superiore a quella di molte altre terapie con strumenti classici”. E ancora: “In molte malattie inguaribili, quando la medicina non ha più nulla da offrire, questo trattamento dà speranze, migliora la qualità della vita e la prolunga”. Peccato che non venga fornita alcuna evidenza scientifica. “Sempre che la terapia esista davvero” dice Filippo Buccella, presidente della onlus Parent Project, nata per promuovere la ricerca sulla sindrome di Duchenne, una forma di distrofia che Smikodub afferma di curare dal 2005. “Da anni la Emcell risponde alle richieste internazionali di chiarimento diffondendo sempre le stesse quattro o cinque testimonianze video di pazienti che dicono di sentirsi meglio”. Compiliamo due moduli online: uno per Andrea, 22 anni, con distrofia di Becker, e l’altro per zio Claudio, 72, Alzheimer.
Meno di due giorni e veniamo ricontattati da Yuliya Panas, ricercatore senior della Emcell. Le due risposte sono in inglese, molto simili tra loro, e professionali. Si spiega che il centro prima di accettare i parenti avrà bisogno di un quadro più preciso: dati anagrafici, cartelle mediche, farmaci assunti, radiografie. L’approccio serioso svanisce però nel giro di poche righe: “Se non disponete di tutti i dati, mandate quello che avete”. Ad andare più veloce è la pratica di zio Claudio. Spediamo poche informazioni aggiuntive via email e la mattina dopo, senza che sia stato mai visto né visitato, viene accettato per il trattamento.
“La terapia cellulare permette l’arresto dei processi degenerativi connessi all’Alzheimer” ci informano. Anche se “è impossibile ripristinare la memoria danneggiata”.
Infine i particolari: “Il trapianto consiste nella somministrazione di staminali che provengono da feti abortiti legalmente e volontariamente”. Peccato che “manchino studi preclinici, un’anagrafe dei pazienti che registri le loro eventuali incompatibilità, un controllo sugli standard di trattamento” dice Buccella. Le uniche immagini disponibili dell’interno della clinica, girate dalla Bbc nel 2005, mostrano una struttura più che fatiscente: i corridoi sono sporchi, le attrezzature sembrano vecchie e logore.
Ma siamo così in ansia per zio Claudio che né i dubbi etici né quelli scientifici ci sfiorano: chiediamo alla dottoressa i dettagli. “Il costo delle cure in modalità day hospital è di 8 mila euro. Per vitto e alloggio dovrete provvedere da soli”. Subito dopo sfodera indicazioni che, più che dal giuramento di Ippocrate, sembrano tratte dal manuale del perfetto tour operator: “Il transfer aeroportuale lo offriamo noi. Per il soggiorno a Kiev sono disponibili camere d’albergo o appartamenti che possiamo prenotare. Almeno per tre giorni”.
Pacchetto completo, insomma. Con tanto di ricevuta. Stai a vedere che magari stavolta riusciamo anche a farci pagare l’intervento dalla asl. La risposta però ci delude: “L’intervento non è in alcun modo rimborsabile”. Pazienza. Tanto i soldi non li avremmo tirati fuori comunque.
di Gianluca Ferraris e Ilaria Molinari con Karen Rubin