venerdì 22 aprile 2011

Chi ha incastrato Piero Marrazzo (e non solo lui)

I viali e le notti di Roma Nord nella testa del procuratore aggiunto di Roma Giancarlo Capaldo, un magistrato cui anche i nemici riconoscono fiuto da detective, assomigliano molto ai racconti losangeleni di James Ellroy. Nelle carte dell’accusa, la squadra di carabinieri coinvolta nel videoricatto all’ex presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo, ricorda il manipolo di poliziotti corrotti raccontati da Ellroy in La notte non aspetta, un suo soggetto per il cinema: spacciano, rapinano, ricattano, trattano con i narcotrafficanti e financo uccidono. Lunedì 19 aprile la Cassazione ha sentenziato che quei carabinieri erano «prevaricatori» con i deboli e che l’ex governatore, coinvolto in un giro di trans e droga, era «la vittima predestinata di un’imboscata organizzata per non dargli scampo». Una squadra che non avrebbe perso il potere d’intimidazione: per questo i pm, dopo l’allarme lanciato da un’ex prostituta brasiliana, hanno chiesto un incidente probatorio urgente per nove cittadini stranieri, testimoni nella vicenda.
In procura sono convinti che non siano affiorate tutte le malefatte e nemmeno tutti i componenti della banda: tre militari sono in carcere (Luciano Simeone, Nicola Testini, Carlo Tagliente); uno ha obbligo di firma (Antonio Tamburrino); ma ci sono altri due carabinieri indagati (uno per false dichiarazioni ai pm) e molti altri sono stati intercettati o sottoposti ad approfondimenti. Praticamente l’intera compagnia Trionfale, cui appartenevano i carabinieri in prigione, ha vissuto gli ultimi sei mesi in un Grande fratello giudiziario. Una cosa è certa: secondo l’accusa, la verità sul caso Marrazzo è ancora tutta da scrivere. Panorama, citando fonti e documenti esclusivi, è in grado di anticipare alcuni dei capitoli che potrebbero riportare la vicenda al centro delle cronache nelle prossime settimane.
L’IMPRENDITORE E L’ATTORE
«Ti avevo chiamato per la seconda cosa, tu capisci a me» diceva al telefono il carabiniere scelto Simeone al collega Tamburrino. Era il 12 ottobre 2009 e Tamburrino, in quelle ore, era impegnato a piazzare il video di Marrazzo (parlando in codice lo chiamano «macchina») all’agenzia milanese PhotoMasi. Tamburrino replicava: «Eh, lo so, però è sempre meglio fare prima quella e poi l’altra».
Secondo gli inquirenti, gli indagati discutono di un secondo video. Due giorni prima Simeone e il maresciallo Testini avevano affrontato lo stesso argomento, sempre parlando in codice: «Noi andiamo con la macchina, quella vecchia, non la macchina nuova».
I pm sono convinti: non disquisiscono di motori. Ma qual è la «macchina nuova» pronta a essere messa sul mercato poche ore prima del loro arresto? Il rebus potrebbe risolverlo l’imprenditore ventisettenne F. D., indagato per la ricettazione del filmino di Marrazzo e che ai pm ha già detto: «Quelli (i carabinieri, ndr) ricattavano mezza Roma Nord».
In particolare, secondo F. D., s’incollavano ai cocainomani più facoltosi. Lui è entrato in contatto con la squadra il 1° ottobre 2008, proprio a causa del suo vizio: infatti venne arrestato per detenzione e spaccio di droga. «Lo stesso giorno qualcuno mi ha svuotato la cantina, ma non posso dimostrare che fossero loro».
Dopo alcune perquisizioni i rapporti fra F. D. e i carabinieri infedeli sono migliorati: «Gli ho venduto cose di mia proprietà: una moto prodotta in serie limitata, due televisori, alcuni computer; poi ho iniziato a frequentarli, a studiare i loro comportamenti» dichiara l’uomo a Panorama. Nel settembre 2009 è stato coinvolto nella commercializzazione del filmino: «Simeone mi disse che erano pronte altre due trappole. Una riguardava un noto sportivo, l’altra un giovane attore con la fama di macho». F. D. fa i nomi dei due personaggi, ma Panorama sceglie di non pubblicarli.
Camila, un viado ascoltato più volte in procura dove è ritenuto un testimone affidabile, conferma indirettamente la vicenda: «L’attore» ricorda «è venuto qui da me tre volte. Sempre con il cappellino calato sulla fronte. Lo sportivo non l’ho mai sentito nominare».
Panorama ha contattato l’uomo di spettacolo, che in passato non aveva negato l’esperienza con un trans: «Ma erano altri tempi. Ora tengo famiglia» ribatte l’artista. La notizia che secondo un testimone i carabinieri volessero ricattare pure lui un po’ lo spiazza: «Chiederò informazioni» dichiara. Ultima domanda: conosce Camila? Breve momento di silenzio e poi un sospiro: «Che brutta storia».
IL SECONDO LIVELLO CHE NON C’E’
Per mesi gli inquirenti hanno cercato il presunto burattinaio del cosiddetto affaire Marrazzo: un politico, un ufficiale dell’Arma o un altro nemico dell’ex governatore del Lazio. E per qualche settimana hanno creduto di poterlo individuare, seguendo un canale sino a oggi poco arato dai media. Vediamo quale.
L’inchiesta inizia casualmente, grazie alle intercettazioni ordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Firenze in un’inchiesta su un traffico internazionale di stupefacenti. È il settembre 2009 e proprio F. D. viene coinvolto nella commercializzazione del filmino: per questo lo propone a un personaggio che sembra uscito da una spy-story. L’uomo, le cui iniziali sono R.P., è quasi un sosia di Raoul Bova: elegante e raffinato, vive tra l’Italia e gli Emirati Arabi, ma secondo gli inquirenti toscani nasconde una doppia identità e in realtà sarebbe un narcotrafficante. Per questo viene intercettato.
Così la storia del video inizia a viaggiare nell’etere tra Roma e La Spezia. Qui R.P. è in contatto con un altro imprenditore, M.F., specializzato in produzione di giubbotti antiproiettile (nelle foto depositate in tribunale sfoggia lunghi capelli e Ray-Ban scuri) e insieme stanno provando ad acquistare una compagnia aerea. Nel tempo libero si interessano anche di Marrazzo.
Gli investigatori che ascoltano le voci degli indagati non capiscono subito chi sia la vittima, ma annotano che nel filmato sarebbe ripreso un«presidente» e per questo inviano gli atti a Roma. Nel frattempo R.P. e M. F. propongono il video a una donna di Latina, per gli inquirenti una escort che sarebbe imparentata con un senatore del centrodestra. R. P. parla con lei al telefono: «C’ho un video in mano che se lo vede tuo cugino impazzisce… è il rivale (Marrazzo, ndr) di quella persona che sta in quella posizione… si è divertito con i trans…».
M. F. è fratello di un capitano dei carabinieri impegnato all’estero ed è in contatto con ufficiali dell’Arma a Roma e Firenze: si parla di possibili raccomandazioni per la squadra. L’inchiesta sembra decollare verso un livello superiore. I magistrati indagano, ma non trovano riscontri, né individuano il politico misterioso. La donna, rintracciata da Panorama, spiega la vicenda a suo modo: «Ho frequentato per alcuni mesi quei signori. Conducevano una vita brillante, mi portavano a cene con gente altolocata: per sentirmi all’altezza ho millantato parentele politiche che in realtà non ho». Insomma, il «secondo livello» non esiste.
ASSASSINI O SPACCIATORI?
Secondo l’accusa, a uccidere il pusher Gianguerino Cafasso, l’uomo che avvertì i carabinieri dell’arrivo di Marrazzo a casa del trans Natalì, fu una dose troppo pura di eroina e cocaina consegnata dal maresciallo Testini. Un gip e il tribunale del riesame hanno accolto l’ipotesi dell’accusa. Resta un dubbio, se si tratti di omicidio volontario o di morte «come conseguenza di altro delitto». Infatti la procura ha contestato al gruppo anche lo spaccio di droga. Ma Testini, difeso dai legali Valerio Spigarelli e Marina Lo Faro, ha ucciso o ha avuto la sfortuna di cedere droga tagliata male?
Una risposta, forse, si può trovare fra le righe del verbale datato 28 gennaio 2010 del trans Jennifer, ex compagno di Cafasso e presunto testimone oculare dell’incontro del pusher con il maresciallo la notte dell’11 settembre, quella precedente il decesso. Il brasiliano (oggi protetto in un centro per vittime della tratta) ha dichiarato: «La droga consegnata da Nicola è stata in parte messa da Rino in un pacchetto vuoto di sigarette».
Jennifer aggiunge: «La droga che aveva intenzione di pippare con me quella notte Rino l’ha portata in albergo (dove risiedevano, ndr). Pensava di riprendersi il giorno dopo quella nel pacchetto per spacciarla, come era sua abitudine».
In pratica, Jennifer sostiene che Testini non diede a Cafasso solo la dose letale, ma anche altra droga da vendere. Si spiega così il narcotest descritto dal trans: una provetta in dotazione alle forze dell’ordine, che diventa blu in presenza di cocaina, con cui Testini e Cafasso hanno esaminato la qualità dello stupefacente.
L’ipotesi che il carabiniere fosse il fornitore del pusher e non il suo assassino potrebbe essere rafforzata dall’sms che Jennifer ha inviato con il cellulare al maresciallo dopo la morte dell’amante e l’interrogatorio della polizia: «Sono a Roma» ha scritto. Perché informare dei propri spostamenti l’uomo che aveva avvelenato Cafasso, rischiando di uccidere anche lui? Probabilmente perché Jennifer non gli attribuiva la volontà di fare del male. «O magari perché quella notte Testini e Cafasso non si sono mai incontrati» ipotizza Angelo Jannone, consulente della difesa ed ex comandante del secondo reparto investigativo del Ros, lo stesso che sta indagando sul caso Marrazzo. «L’esame critico delle prove ci consente di confutare la testimonianza di Jennifer» dice il colonnello. «Lo studio dell’ampiezza delle celle telefoniche permette di dire che nel periodo in cui la procura circoscrive l’incontro fra Testini, Cafasso e Jennifer i tre avrebbero potuto essere in luoghi distinti tra loro. I dati possono avere letture molto diverse».
LA VERITA’ SU BRENDA
Sulla squadra di carabinieri infedeli incombe anche il fantasma di un’altra morte, quella di Brenda, il viado amico di Natalì, morto il 20 novembre 2009 per asfissia a causa di un piccolo incendio nel suo monolocale in via Due Ponti. La procura procede per omicidio, ma per ora non ci sono riscontri né nomi di presunti assassini. Anche Brenda incontrò a pagamento Marrazzo in compagnia del proprio coinquilino, Michelly, un monumentale trans di colore: insieme all’ex presidente del Lazio sembra abbiano girato un video in una vasca da bagno.
Nelle carte della procura si legge: «In data 8.11.2009 veniva registrata una conversazione intrattenuta da Brenda con uno straniero sconosciuto, nel corso della quale così si esprimeva: “Adesso è uscita un’altra con il governatore e si è accordata con Nicola e Carlo (cioè Testini e Tagliente, ndr), ricordi? E lo hanno ricattato, volevano ricattarlo però quella ha detto che ero stata io…”». Un dialogo poco decifrabile, cui però gli inquirenti pongono una chiosa sibillina: «Peraltro, nelle prime ore della mattina del 20.11.2009, Brenda veniva trovata cadavere all’interno della sua abitazione, dove si era sviluppato un incendio».
Maureen, un’ex prostituta sudamericana, è stata sentita in procura come testimone alla metà di aprile: ha detto di avere saputo da un amico trans che un’estetista brasiliana, poco prima della morte di Brenda, avrebbe fatto realizzare un duplicato della chiave dell’appartamento di quest’ultimo e la avrebbe consegnata ad alcuni cittadini romeni. Realtà o una delle tante leggende che girano in via Due Ponti?
È certo che, proprio nei giorni della telefonata con lo sconosciuto, Brenda fu coinvolta in due strani episodi. L’8 novembre lui e altri trans furono aggrediti da due giovani romeni, che però ebbero la peggio, finendo in ospedale dopo la reazione dei brasiliani. Quella stessa notte Brenda fu malmenata da una banda, pare sempre di romeni, che le rubarono il cellulare. «Probabilmente lo stesso telefonino su cui io ho visto il video girato da Brenda, con Marrazzo e Michelly» dice Camila a Panorama.
È noto che i carabinieri della squadra avessero diversi confidenti dell’Est Europa. Resta da capire se le aggressioni siano collegate con la morte di Brenda. Ma soprattutto se gli eventuali killer avessero un mandante. Magari in divisa.

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